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RECENSIONI   /   cinema   /   Analisi: Anna Karenina di Joe Wright

(martedì, 12 marzo 2013)

Ammetto di avere avuto un minimo di apprensione di fronte all’idea di una nuova versione di Anna Karenina (anche perché non ho una grande simpatia per Keira Knightley), ma devo ammettere di essermi ricreduto di fronte alla versione di Joe Wright.

L’Anna Karenina di Joe Wright è un lavoro sontuoso (pur nella sua apparente semplicità), di impatto visivo, in cui la messa in scena è diretta da un’idea di regia talmente forte che il lavoro degli attori passa in secondo piano. La recitazione di tutti gli interpreti è misurata, molto controllata, e questo serve a fare emergere in maniera ancora più evidente i picchi, solitamente i picchi emotivi della protagonista.

La rilettura di Wright del classico di Tolstoj è evidente: secondo il regista Anna Karenina è una tragedia delle apparenze, ambientata in una società rigida e oppressiva. Questo messaggio viene veicolato dall’idea del teatro. La maggior parte delle scene hanno luogo in un vecchio teatro (di tanto in tanto osserviamo qualche piccolo dettaglio che ne denuncia la decadenza). Ambienti domestici, ristoranti, piste da pattinaggio, sale da ballo e (ovviamente) teatri, sono tutti riportati in quell’unico ambiente, finché la prospettiva non si apre.

Questa apertura non è casuale. Due sono i personaggi che portano gli esterni in questa esperienza visiva di Wright. La prima è Anna, il secondo è Levin, a tutti gli effetti un alter ego di Tolstoj nel rivedere il suo rapporto con il lavoro nei campi e con gli ex servi della gleba (la servitù della gleba in Russia finisce nel 1861). Entrambi sono portatori di istante che spezzano il rigido perbenismo della Russia zarista, Levin con le sue innovazioni sociali e Anna Karenina con la forza della sua passione.

In quest’ottica il teatro rappresenta l’occhio dell’aristocrazia, un occhio controllante che separa chi segue i dettami della società bene e chi invece deve essere emarginato per i comportamenti che violano le regole (una battuta in particolare rivela in maniera esplicita questa distinzione: “non ha violato la legge, ha fatto di peggio: ha violato le regole).

Nel teatro si svolgono tre scene madri in particolare: il ballo in cui Anna e Vronskij si conoscono, la scena della corsa in cui Anna rivela la sua passione pubblicamente, e il reingresso in società di Anna con la riprovazione collettiva per la sua situazione da separata. Il ballo forse è la scena che definisce meglio l’idea della società che il regista vuole trasmettere, con quelle complesse coreografie che rendono visuali le regole ferree del contesto in cui si muovono i personaggi. La scena della corsa dei cavalli (è evidente l’identificazione di Anna con la nobile bestia bianca cavalcata da Vronskij) è poi di una potenza visiva incredibile. Anna è nel palco centrale, non perché sia un’autorità particolare (una volta il palco centrale era destinato ai re), quanto perché lei è sotto l’occhio attento di una società sempre in attesa della trasgressione, amata e riprovata al tempo stesso. Nell’ultima scena assistiamo alla resistenza della società a ogni cambiamento, a ogni violazione di quelle norme non scritte che ne regolano il funzionamento.

Eppure ci sono i prati, le distese aperte dove ogni donna può essere libera, lontana dal teatro delle apparenze. E il finale (tranquilli nessuno spoiler), con l’irruzione del campo di erbe selvatiche nel teatro è molto di più di una consolazione, è uno scorcio di speranza per chi resta, a cominciare dalla bimba della stessa Anna. Forse Anna Karenina è una delle opere più difficili (se non impossibili) da adattare ad altre epoche e ad altri paesi, tale è il legame con la società descritta da Tolstoj. Per questo la soluzione adottata da Wright mi sembra tanto elegante quanto convincente.

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2 commenti

  • sara
    il 13 marzo 2013 alle 9:23 ha scritto:

    ho visto il film, ho letto la tua recensione e mi sono detta: ma com’è che non ho visto tutto ciò che sei riuscito a vedere tu? E’ proprio vero l’occhio del critico – quello colto intendo – riesce a cogliere cose che uno spettatore comune vede ma non più di tanto. Mi costringi a rivederlo per apprezzarlo come si deve.

  • Lavoro dello scrittore: l’inizio programmatico di Anna Karenina | Mauro Corso, attore e scrittore
    il 15 marzo 2013 alle 9:04 ha scritto:

    [...] aver compiuto una breve analisi del film di Joe Wright basato su Anna Karenina, vorrei tornare sul romanzo e in particolare sulla [...]

 

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