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RECENSIONI   /   cinema   /   Recensione: Snowpiercer

(venerdì, 15 novembre 2013)

20131115-150857.jpgCapita sempre più raramente di vedere film di fantascienza soddisfacenti non solo dal punto di vista degli effetti speciali, ma anche dal punto di vista narrativo e di messa in scena. La fantascienza è un genere che richiede coraggio e capacità di osare, e forse Hollywood ha avuto un atteggiamento eccessivamente conservatore negli ultimi quindici anni, spesso puntando su remake o su marchi ben consolidati, piuttosto che puntando su storie nuove e mai viste. Anche quando è stata percorsa quest’ultima strada, il cinema di fantascienza statunitense si è perso in così tante spiegazioni farraginose per spiegare la tecnologia introdotta, da distruggere del tutto la sospensione dell’incredulità. Questo è il caso di Upside down, una specie di Romeo e Giulietta a gravità invertita in cui veniva spiegato in continuazione il perché e il percome ci fossero due mondi con due gravità opposte. Tutte queste spiegazioni hanno l’effetto di “attivare” il senso critico dello spettatore che, inconsciamente o meno, inizia a saggiare la validità delle teorie. Il problema è che, prima o poi, la falla viene trovata: non trattandosi di scienza, ma di fantascienza, la falla c’è sempre. Si può dire che in questo modo si mette l’accento sulla “scienza”, dimenticando la parte di “fanta” a inizio parola.

Snowpiercer ha l’approccio opposto, e si può dire che invece metta l’accento sulla “fanta”. Da un punto di vista scientifico, la premessa del film è assurda: viene rilasciato nell’atmosfera un composto speciale che dovrebbe ridurre la portata del riscaldamento globale ma, contro ogni previsione, questo rimedio porta sulla terra una nuova glaciazione. Ci troviamo di fronte a una svolta scientificamente assurda: è impossibile l’adozione di una soluzione a così alto impatto senza una valutazione teorica delle conseguenze e senza un numero altissimo di simulazioni con tutte le variabili possibili. Qui però ci troviamo in un altro territorio: siamo entrati nel fiabesco. Ancora più fiabesca è la continuazione: quello che resta dell’umanità è rinchiusa in un treno autosufficiente che percorre continuamente la superficie della terra.

La fantascienza ha qualcosa in comune con il metodo scientifico, nel senso che è una specie di simulazione: pone delle premesse teoriche e poi immagina i suoi effetti. Cosa accadrebbe se…

Certo, è pur vero che questo è un particolare comune a tutta la letteratura, ma dove la maggior parte della letteratura si occupa del destino di singoli individui, la fantascienza prende in considerazione l’umanità intera o la stessa idea di umanità, di quel che ci rende umani.

Da questo punto di vista, Snowpiercer è una grande parabola della storia dell’umanità dal XX secolo fino a noi e fino ai prossimi cento anni. Il treno è una grande metafora della stratificazione sociale, di emarginazione e privilegio, di oppressione e della volontà di liberazione di chi non ha più nulla da perdere. In una frase, il film di Bong Joon-Ho (tratto da una graphic novel francese) è un “assalto al treno distopico”, una specie di 1984 western in cui mescolano rivoluzione, sopravvivenza e conservazione di quello che ci rende umani. Lo spunto fantascientifico in fondo è un acceleratore, serve a bruciare tutto quello che non serve, per lasciare solo l’essere umano nella sua nudità più assoluta.

Un altro concetto interessante alla base di Snowpiercer è l’idea di equilibrio. Il treno, per essere autosufficiente, deve essere un sistema chiuso, e per questo tutte le parti devono restare in perfetto equilibrio. In questo caso è evidente il parallelismo tra macchina meccanica e macchina sociale, ed è anche chiaro che un regime autoritario è pronto a giustificare ogni misfatto per mantenere il sistema così com’è (status quo). Due sistemi assicurano il mantenimento del sistema: la polizia, che mantiene l’ordine, e l’ideologia, che fornisce una giustificazione culturale all’ordine stesso. Tutto questo è presente nel film in maniera cristallina. Il passaggio da un vagone all’altro porta a una forma di consapevolezza più alta, finché arrivare al vagone di testa non vuol dire comprendere tutto, in un certo senso persino diventare dio. Un dio effimero, ovviamente, un dio del tutto umano che però può decidere cosa è meglio, e non è detto che ci sia una risposta buona in modo univoco.

Naturalmente il film è molto di più: è una festa per gli occhi e per gli amanti dell’azione, ma il fatto che dietro abbia una struttura così forte ed essenziale lo rende ancora più potente, sia nello svolgimento che nelle motivazioni e nella rappresentazione dei personaggi.

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