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scrittura   /   Stephen King si autopubblica per parlare di armi da fuoco

(giovedì, 31 gennaio 2013)

E’ difficile credere che Stephen King abbia problemi a trovare una casa editrice. Eppure l’autore di It, Cujo, Carrie e Christine la macchina infernale ha scelto di ricorrere direttamente alla pubblicazione in formato elettronico per fare uscire il suo ultimo libro. In questo caso non ci troviamo di fronte a un romanzo dell’orrore, ma davanti a un saggio chiamato semplicemente “Guns”, “Pistole”. King prende in esame gli ultimi fatti di sangue avvenuti negli Stati Uniti e compie un analisi sulla diffusione delle armi e della cultura delle armi negli Stati Uniti. “Guns” è un libretto breve e di facile lettura, diviso in sei capitoli in cui Stephen King compie una serie di considerazioni sulle stragi che sono accadute nel 2012 e che continuano ad accadere anche nel 2013. Fra le altre cose parla del suo primo romanzo, “Rage”, pubblicato sotto pseudonimo e della sua decisione di ritirarlo dagli scaffali dopo essere stato citato dagli autori di alcuni atti violenti in scuole americane. “Rage” parlava infatti di un ragazzo che decideva di uccidere il proprio professore di matematica, che alla fine veniva percepito dagli studenti che assistevano a questa esecuzione come il vero colpevole. Stephen King tra l’altro non pensava che il suo libro potesse essere la causa scatenante di un qualsiasi atto di violenza, ma nell’ipotesi che fosse un “acceleratore”, ha deciso di non correre rischi e di farlo sparire comunque.

Il quarto capitolo di questo breve saggio è piuttosto illuminante, perché King decostruisce radicalmente l’idea che negli Usa ci sia una cultura della violenza. Molto spesso noi in Italia partiamo da questa percezione sulla basa di quello che arriva in casa nostra da oltreoceano. Recentemente sono stato alla conferenza stampa del ritorno di Schwarzenegger sullo schermo dopo il suo incarico come governatore della California. La stampa “tradizionale”, che non si occupa evidentemente di cinema ma di sensazionalismo di livello più basso, non ha fatto una sola domanda sul film “L’ultima sfida”, ma ha parlato quasi unicamente della cultura della violenza negli Stati Uniti. Fra l’altro gli attori hanno avuto buon gioco nel rispondere che quello che succede sullo schermo è finzione e che non ha nulla a che vedere con quanto accade nella realtà. La verità è che la stampa lontana non si prende la briga di fare neanche cinque minuti di ricerca. Il giornalismo  da noi ormai è una specie di fast food della mente, in cui le notizie vengono preparate rapidamente e sommariamente con materie di terza categoria per essere consumate altrettanto rapidamente da un pubblico sempre meno dotato di senso critico. Quindi in realtà questo atteggiamento in conferenza stampa non mi ha stupito più di tanto. Se si fossero sprecati a leggere Stephen King (un libretto di meno di trenta pagina, mica chissà che impegno eh!), questi sedicenti (e strapagati) giornalisti avrebbero scoperto qualcosa di molto interessante. La maggior parte dei media statunitensi di successo non sono caratterizzati dall’uso di armi da fuoco. La popolare serie di Martin, Il trono di spade, come suggerisce il titolo non vede l’uso di armi automatiche, nei film “violenti” più popolari (e qui intendo: i film con gl incassi più consistenti), supereroi come Batman o l’Uomo ragno non usano pistole quasi per ragioni “etiche”. L’unica eccezione è Skyfall, in cui vengono usate armi da fuoco. Per quanto riguarda i videogiochi (in questo periodo sotto attacco da parte di senatori repubblicani) ci sono ovviamente molti giochi violenti in cui c’è l’uso di armi da fuoco, ma se andiamo a vedere i bestseller (Stephen King cita Gamasutra), vediamo giochi come Motorsport 4, Madden NFL e Just dance 4. Quello che dice Stephen King è molto chiaro dunque: “L’idea che l’America si fondi su una cultura violenta è una stronzata. L’America si fonda su una cultura di Kardashian”. Se non sapete chi sono i Kardashian, siete abbastanza fortunati.

Perché Stephen King ha deciso di autopubblicarsi? La risposta è semplice: per raggiungere più rapidamente i propri lettori. Quando si parla di fatti di cronaca o si scrivono libri di valenza politica (quelli che una volta venivano chiamati pamphlet), arrivare il prima possibile tra le mani dei lettori è prioritario. Evidentemente anche il re dell’horror avrebbe dovuto aspettare almeno qualche mese per vedere il suo lavoro sugli scaffali, e a quel punto probabilmente le sue considerazioni sarebbero diventate già vecchie o comunque scollegate dal dibattito politico. Questo è dunque un punto da tenere ben presente quando si decide come e dove rendere disponibile il proprio libro. In Italia poi, per vedere il proprio volume pubblicato da una casa editrice tradizionale bisogna aspettare minimo un anno tra tempi tecnici di lettura (quello che richiede più tempo, almeno per quanto riguarda le case editrici serie), editing, pubblicazione effettiva e distribuzione. Quindi se la propria opera ha le caratteristiche dell’urgenza meglio mettersi in proprio. Lo dice Stephen King.

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